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Il lavoro agile: tra tutela della salute ed esigenze lavorative

Durante la fase dell’emergenza sanitaria da Covid-19, tuttora in atto, lo smart working è tornato al centro dell’attenzione di operatori del diritto ed aziende quale mezzo privilegiato per contrastare il diffondersi della pandemia e consentire la ripresa delle attività produttive. Il contributo, tenendo conto delle più recenti novità a livello normativo, tratteggia le peculiarità del lavoro agile “emergenziale”, in primo luogo rilevanti sul piano giuslavoristico, nonché incidenti sulla disciplina della sicurezza sul lavoro e, più in generale, sulla gestione delle risorse umane.

 

Considerazioni sulle innovazioni introdotte durante la fase emergenziale

Il lavoro agile, introdotto nel 2017 e finora utilizzato prevalentemente in realtà aziendali di grandi dimensioni, in questi ultimi mesi è letteralmente dilagato, ponendo questioni di non poco conto a livello giuslavoristico e sul piano della gestione delle risorse umane.

E, invero, uno dei fili conduttori che lega i provvedimenti emergenziali è costituito dall’averlo elevato a strumento funzionale al contenimento del contagio.

Come noto, a livello definitorio generale, per lavoro agile (il cui omologo anglofono è lo smart working) si intende una peculiare modalità di svolgimento del rapporto di lavoro subordinato disciplinata dalla l. n. 81/2017 (artt. dal 18 al 23).

I suoi tratti caratterizzanti sono la possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in parte all’interno e in parte all’esterno dei locali aziendali, e in quest’ultimo caso senza una postazione fissa; il non essere sottoposta stringenti vincoli di orario, fermi restando i limiti massimi fissati dal legislatore e dalla contrattazione collettiva; l’avvalersi di attrezzatura tecnologica, posta come eventuale ma che è una costante nella prassi.

Può risultare utile svolgere una sintetica ricognizione delle principali disposizioni normative che si sono susseguite nel corso degli ultimi mesi.

Nell’ambito delle misure adottate dal Governo, volte al contenimento e alla gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, già con i d.P.C.M. del 25 febbraio e del 1° marzo 2020 (articolo 1, comma 1, punto 7, lett. a) era stata prevista una procedura semplificata per accedere allo smart working.

Quindi un forte impulso è stato dato a tutti i datori di lavoro privati, stabilendo che la modalità di lavoro agile può essere applicata ad ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza di un accordo tra le parti.

Ciò si riflette sulla modalità di svolgimento della prestazione, che può essere determinata in via unilaterale dall’azienda, non occorrendo materialmente la firma del lavoratore o un accordo sindacale, bensì essendo sufficiente una comunicazione via e-mail.

Fermo pur sempre restando (ai sensi, da ultimo, del d.P.C.M. del 10 aprile 2020) il “rispetto dei principi dettati dalle […] disposizioni” di cui alla l. n. 81/2017. D’altro canto, gli obblighi di informativa, nella quale (ex art. 22 della l. n. 81/2017) sono individuati – secondo le peculiarità dell’organizzazioni aziendale – i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro, possono essere «assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’INAIL».

Nel d.P.C.M. dell’11 marzo 2020 si raccomandava poi che, da parte delle imprese, si incentivasse il massimo utilizzo del lavoro agile per le attività che potessero essere svolte dal proprio domicilio o in modalità a distanza (art. 1).

È poi il d.l. del 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. “Cura Italia”), convertito con l. n. 27/2020 a ribadire la portata della disposizione sia per lavoratori privati che pubblici.

E, tra le disposizioni che rilevano in tema, l’art. 39 riconosce, per i lavoratori dipendenti disabili gravi ai sensi della l. n. 104/1992 o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona nel medesimo stato di disabilità, il diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile (fino alla cessazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19, ossia fino al 31 luglio 2020)3 .

La legge di conversione ha previsto che le disposizioni si applicano anche ai lavoratori immunodepressi e ai familiari conviventi di persone immunodepresse.

Mentre l’art. 87 lo qualifica come “modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nelle pubbliche amministrazioni”, fatti salvi l’erogazione dei servizi essenziali e lo svolgimento di attività non prorogabili.

La prestazione lavorativa in lavoro agilepuò essere svolta anche attraverso strumenti informatici nella disponibilità del dipendente pubblico qualora non siano forniti dall’amministrazione.

Attraverso il d.l. n. 22/2020 è stato formalmente riconosciuto come strumento funzionale alla continuità delle prestazioni didattiche e agli «adempimenti connessi dei dirigenti scolastici nonché del personale scolastico».

Da ultimo all’interno del d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (c.d. “Rilancio”) è stato previsto (all’art. 90), per tutta la durata dello stato di emergenza sanitaria, il diritto all’attivazione dello smart working per i lavoratori dipendenti del settore privato che siano genitori di almeno un figlio minore di 14 anni, anche a prescindere dalla stipulazione di accordi individuali. Ovviamente a condizione che sia compatibile con le modalità di svolgimento del rapporto di lavoro5 e fermi restando gli obblighi informativi di cui alla l. n. 81/2017.

Altresì, oltre a ribadire l’obbligo di comunicare all’INAIL i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro smart mediante modalità telematica semplificata e che il lavoro agile costituisce la “modalità ordinaria” attraverso cui rendere la prestazione di lavoro presso la P.A., si prevede che il lavoro agile possa ammettersi anche mediante l’utilizzo strumenti informatici non forniti direttamente dal datore di lavoro, quindi anche attraverso quelli di proprietà del dipendente.

Di assoluto rilievo è anche il Protocollo sottoscritto da Governo e Parti sociali il 14 marzo 2020, aggiornato il 24 aprile 2020, nella cui Premessa a tutte le attività non sospese è rivolto l’esplicito invito al massimo utilizzo delle modalità proprie del lavoro agile.

È il Protocollo stesso a stabilire che il lavoro a distanza «continua a essere favorito anche nella fase di progressiva riattivazione del lavoro in quanto utile e modulabile strumento di prevenzione».

L’intesa ricorda però che il datore di lavoro deve fornire adeguate condizioni di supporto al dipendente per quanto riguarda l’utilizzo dei dispositivi e i tempi e le pause dell’attività.

 

Smart working emergenziale e smart working ordinario: le differenze

Viene, però, da chiedersi se il lavoro agile che oggi stiamo “sperimentando” sia esattamente quello disciplinato dalla normativa d’origine, oppure sia un quid novi.

In effetti, quest’ultima conclusione risulta essere la più convincente.

Un primo elemento da considerare sta proprio nell’alternanza tra momenti di lavoro smart e presenza presso la sede lavorativa.

Partendo dal presupposto che il lavoro è di per sé anche – se non soprattutto – inserimento in una organizzazione, la legge del 2017 ha precisato che debba essere prevista un ’alternanza tra fasi di svolgimento del lavoro a distanza e un rientro del lavoratore in sede per confronto diretto con i superiori, esercizio dei suoi diritti sindacali e, più in generale, favorire la socializzazione con i colleghi; mentre attualmente il rientro in ufficio è contingentato proprio alla luce delle disposizioni di carattere generale.

Inoltre cifra distintiva del lavoro agile starebbe nel rendere una prestazione lavorativa in un arco temporale definito (l’orario di lavoro giornaliero) senza vincoli né di tempo, alternando periodi di lavoro a pause, né di luogo, potendosi svolgere tendenzialmente ovunque.

Quindi distinguibile dal telelavoro che, invece, prevede una postazione fissa e generalmente ritmi di lavoro predefiniti.

In realtà le limitazioni alla mobilità, soprattutto nella fase che va dall’8 marzo al 3 maggio, hanno di fatto avvicinato lo smart working al telelavoro: lo svolgimento dell’attività lavorativa presso la sede aziendale da regola è diventata eccezione. Altra differenza tra il regime dell’emergenza e il regime ordinario è rinvenibile – come anticipato – nella natura dell’atto attraverso il quale si stabilisce lo svolgimento del rapporto di lavoro in modalità agile.

Prima un accordo “di agilità”, ora un atto unilaterale, detto “regolamento di agilità”.

La stessa legge n. 81/2017 prevede, infatti, che un accordo tra le parti, al quale spetta definire gli elementi organizzativi della prestazione, debba essere alla base di tale rapporto, sia a tempo determinato che a tempo indeterminato.

Ultimo punto che vale la pena sottolineare è la ratio dell’istituto.

Per la legge n. 81/2017 coincide con le finalità di efficientare il sistema produttivo, ridurre tempi di spostamento e di conseguire un tendenziale bilanciamento tra vita privata e vita lavorativa.

Nella fase attuale, invece, l’obiettivo primario dello smart working è quello di ridurre la circolazione delle persone e scongiurare una nuova ondata epidemica.

Quindi più che di lavoro agile potrebbe parlarsi di lavoro da remoto, in virtù del fatto che la libertà di scelta del luogo di lavoro ha ceduto il passo all’obbligo di svolgerlo dal luogo di residenza o di domicilio, quale «luogo necessitato».

Che nei fatti è la modalità per la quale molte aziende hanno “dovuto optare” al fine di garantire la continuità delle proprie attività (talvolta, più in radice, anche la propria sopravvivenza).

Peraltro la stessa giurisprudenza di merito, a più riprese, ha valorizzato il riconoscimento – nelle specifiche ipotesi ex lege summenzionate – del diritto a lavorare in modalità agile.

 

 Alcune implicazioni sul piano della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro

Posto che, rispetto allo smart worker, il datore di lavoro assume una posizione dai contorni “più sfumati”, non risulta così immediato cogliere le implicazioni delle più recenti disposizioni normative sul piano della sicurezza sul lavoro, in quanto le norme emergenziali si limitano a contemplare la duplice deroga relativa alle previsioni sugli accordi individuali e sugli obblighi informativi e, al contempo, impongono comunque il rispetto dei principi dettati dagli articoli da 18 a 23 della legge n. 81/2017.

Vale a dire prescrizioni a tutela della salute e sicurezza, ictu oculi, impegnative.

Infatti sul datore di lavoro grava l’obbligo di garantire la tutela della salute e sicurezza anche qualora la prestazione lavorativa sia resa in modalità agile, e lo stesso lavoratore è tenuto a partecipare all’implementazione della strategia prevenzionistica, seguendo la logica della sicurezza partecipata su cui si impernia il T.U. n. 81/2008 (ai sensi dell’art. 22); altresì è prevista la responsabilità datoriale per la sicurezza degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore (delineata dall’art. 18).

Al punto che alcuni autorevoli esponenti della dottrina hanno prospettato un’estensione ex lege delle garanzie previste per il telelavoro, il cui punto di riferimento normativo è nell’art. 3, comma 10, del T.U.

Si allude all’osservanza della disciplina in materia di attrezzature munite di videoterminali (presente nel Titolo VII) e, della disciplina del Titolo III se le attrezzature sono fornite dal datore di lavoro; all’obbligo di informare i lavoratori sulle politiche aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, in particolare con riferimento alle esigenze connesse allo svolgimento della prestazione in luogo altro rispetto ai locali aziendali e correlate all’utilizzo di detti videoterminali.

Il che implicherebbe anche la possibilità di accesso del datore di lavoro, delle rappresentanze dei lavoratori e delle autorità competenti al luogo di lavoro, subordinata al preavviso e, se coincidente col domicilio del lavoratore, al consenso di quest’ultimo.

Tuttavia, senza un intervento ad hoc del legislatore, non sembra prospettabile un’interpretazione estensiva, dal momento che il regime del lavoro agile è a sé stante, e trova pur sempre il proprio “basamento giuridico” nella legge n. 81/2017.

Mentre, in linea più generale, è fuor di dubbio che il ricorso allo smart working (quando non obbligatorio) vada privilegiato laddove non sia possibile garantire né l’utilizzo di adeguati dpi né il distanziamento sociale, concependolo come «misura di natura organizzativa da utilizzare in chiave di sicurezza». 

 

Una nuova presa di coscienza sul lavoro agile

Sviluppando una riflessione di carattere più ampio, è evidente come alcuni paradigmi classici dell’organizzazione aziendale siano ormai superati.

E, di fatto, le aziende che hanno giocato d’anticipo, o che si sono avvicinate in modo più repentino a nuove modulazioni degli orari e a concepire nuove organizzazioni degli spazi di lavoro, in qualche modo sembrano incarnare la ratio alla base della legge n. 81/2017, ossia l’esigenza di contemperamento tra sfera professionale e sfera personale dei lavoratori.

Senza dubbio il lockdown ha impresso un’ulteriore accelerazione all’evoluzione dei caratteri propri del rapporto di lavoro subordinato: ridimensionandosi il tradizionale inquadramento come messa a disposizione di energie lavorative sottoposte al potere di eterodirezione datoriale, assume sempre più le fattezze di una «serie di prestazioni di risultato».

E, al contempo, va posta in primo piano l’esigenza di individuare un punto di equilibrio, da una parte, tra tutela della salute pubblica e accesso ai servizi essenziali tutela di salute pubblica e accesso ai servizi essenziali, da un lato, e, dall’altro, la salvaguardia del mercato di lavoro, con un ruolo preponderante assunto dall’apprestamento di incisive tutele giuslavoristiche.

Appare, dunque, cruciale che nei prossimi mesi si pongano le premesse per la transizione da una disciplina del lavoro agile emergenziale ad un ripensamento del corpus normativo standard, che tuttora vede la legge n. 81/2017 come punto di riferimento.

Auspicandosi, in parallelo, una presa di coscienza circa le opportunità che si profilano per entrambe le parti del rapporto di lavoro (pur con alcuni necessari caveat): da un lato, efficientamento organizzativo e contenimento del costo del lavoro; dall’altro, conseguimento di un nuovo bilanciamento tra esigenze lavorative ed esigenze familiari. 

 

Fonte: Università degli Studi di Urbino


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