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Il rischio di contagio da COVID-19 nei luoghi di lavoro: obblighi di sicurezza e art. 2087 c.c.

Obblighi di sicurezza e art. 2087 c.c.(prime osservazioni sull’art. 29-bis della l. n. 40/2020)

 

Il tema affrontato è quello dell’individuazione degli obblighi che gravano sul datore di lavoro per realizzare la dovuta protezione del dipendente dal rischio di contagio da Covid-19 nei luoghi di lavoro.
Dopo avere individuato nei Protocolli nazionali, settoriali, regionali la fonte di tali obblighi si evidenzia che questi Protocolli hanno assunto forza di legge a seguito dell’art. 1, comma 14, del d.l. n. 33/2020.
Muovendo da questo presupposto, l’indagine viene incentrata sul rapporto tra l’art. 2087 c.c. e le misure di sicurezza previste dai Protocolli, per concludere che tali misure identificano in via esclusiva gli obblighi del datore di lavoro per la prevenzione del contagio da Covid-19.
 
 
Entriamo nel dettaglio dei provvedimenti legislativi presi.
 
La disposizione dalla quale occorre prendere le mosse per ricostruire il dato normativo vigente è quella contenuta nell’art. 1, comma 14, del d.l. 16 maggio 2020, n. 33, convertito con l. 14 luglio 2020, n. 74, in forza della quale “le attività economiche, produttive e sociali devono svolgersi nel rispetto dei contenuti di protocolli o linee guida idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in ambiti analoghi, adottati dalle regioni o dalla Conferenza delle regioni e delle province autonome nel rispetto dei principi contenuti nei protocolli o nelle linee guida nazionali. In assenza di quelli regionali trovano applicazione i protocolli o le linee guida adottati a livello nazionale. Le misure limitative delle attività economiche, produttive e sociali possono essere adottate, nel rispetto dei principi di adeguatezza e proporzionalità, con provvedimenti emanati ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge n. 19 del 2020 o del comma 16”.
 
Norma questa che viene rafforzata dal comma 15 dello stesso art. 1, per cui “il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell'attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza”
 
Prima ancora della sua conversione – e non si può non segnalare questa singolarità – l’art. 1, comma 14 è stato oggetto di una sorta di interpretazione autentica da parte dell’art. 29-bis, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 convertito con l. 5 giugno 2020, n. 40 con il quale il legislatore ha ritenuto di precisare che “ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali, e successive modificazioni e integrazioni, e negli altri protocolli e linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, nonché mediante l’adozione e il mantenimento delle misure ivi previste. Qualora non trovino applicazione le predetteprescrizioni, rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
 
A completare il quadro normativo è intervenuto, da ultimo, il d.P.C.M. 11 giugno 2020 recante misure attuative del d.l. n. 33/2020 con l’art. 2 rubricato “misure di contenimento del contagio per lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive industriali e commerciali”.
 
Questa norma prevede che “sull'intero territorio nazionale tutte le attività produttive industriali e commerciali … rispettano i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Governo e le parti sociali di cui all'allegato 12, nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del covid-19 nei cantieri, sottoscritto il 24 aprile 2020 fra il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e le parti sociali, di cui all'allegato 13, e il protocollo condiviso di regolamentazione per il contenimento della diffusione del covid-19 nel settore del trasporto e della logistica sottoscritto il 20 marzo 2020, di cui all'allegato 14”
 
In primo luogo l’art. 1, comma 14, del d.l. n. 33/2020, vincolando i datori di lavoro all’osservanza dei Protocolli e, quindi, imponendone l’applicazione, ha (definitivamente) attribuito ad essi forza di legge, regolandone nel rispetto del pluralismo sindacale (art. 39 Cost.) la gerarchia e gli effetti, in combinato disposto con l’art. 29-bis, della l. n. 40/2020.
 
Quindi, cercando di fare ordine nelle fonti di disciplina “delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro”, sembra possibile attribuire un rilievo preminente al Protocollo 24 aprile 2020.
 
Precisando ulteriormente – con le implicazioni di cui si dirà in seguito – le conseguenze derivanti dall’inadempimento del datore di lavoro ai Protocolli, in quanto “il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell'attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza” (art. 1, comma 15, del d.l. n. 33/2020).
 
Muovendo da queste premesse si può affrontare il punto relativo all’individuazione degli obblighi gravanti sul datore di lavoro per la prevenzione del rischio di contagio da coronavirus nei luoghi di lavoro.
 
Si tratta di punto centrale che si colloca all’interno del tema più articolato della responsabilità (civile e penale) del datore di lavoro per l’infezione contratta dal dipendente in occasione di lavoro che, com’è noto, deve fare riferimento a tre distinti profili: a) l’individuazione delle misure di prevenzione che devono essere osservate; b) il nesso causale non solo tra l’infezione ed il fatto che essa sia avvenuta nei luoghi ed in occasione di lavoro; c) … ma anche tra l’omissione delle misure di prevenzione imputabile al datore di lavoro e l’avvenuto contagio. Infatti l’individuazione del contenuto delle misure di sicurezza deve avvenire sciogliendo i dubbi che si agitano per la pluralità di norme apparentemente concorrenti: l’art. 2087 c.c., il TU sulla sicurezza (d.lgs. n. 81/2008) e le disposizioni speciali dettate per contrastare il rischio di contagio da COVID-19. Quindi la questione che si pone è proprio quella del concorso tra queste norme per capire se esse operano congiuntamente ed in modo integrato realizzando così, cioè nel loro insieme, un presidio del rischio di contagio da coronavirus nei luoghi di lavoro o se, invece, tale concorso è solo apparente in quanto gli specifici interventi del legislatore (ai quali in precedenza si è fatto riferimento) consentono di selezionare le norme che, prevalendo sulle altre, risultano applicabili in base alla regola della specialità.
 
L’indagine che deve essere condotta per rispondere a tale quesito dovrà verificare se la normativa speciale, operando in modo analogo al meccanismo ordinario proprio dell’art. 2087 c.c. e del TU n. 81/2008, ne costituisce una specificazione predisposta dal legislatore per prevenire il rischio di contagio da coronavirus che rende ripetitiva e, per questo inapplicabile, la tutela apprestata in via generale.
 
È scontato ad esempio che il rischio di contagio da coronavirus - che, pure, non è di certo generato dall’organizzazione del lavoro, ma è esterno ad essa - può concretizzarsi in modo peculiare all’interno dei luoghi di lavoro per la presenza numerosa di personale e le modalità di svolgimento ravvicinato delle prestazioni lavorative rese dai dipendenti, con la conseguente necessità di presidio da parte del datore di lavoro del relativo rischio.
 
Quindi, per dirla in una battuta, il punto non è se questo rischio grava sul datore di lavoro, ma piuttosto quali sono le misure di prevenzione prescritte dal legislatore, muovendo dal presupposto scontato che, sul piano generale, la tutela dell’art. 2087 c.c. concorre con quella del TU n. 81/2008, ma ciò però non implica necessariamente che le norme ad hoc della legislazione speciale per il contrasto al COVID-19 si integrano con quelle ordinarie, anziché operare in loro sostituzione.
 
Le implicazioni di tale alternativa non sono di poco conto. Infatti, se si dovesse ritenere applicabile anche l’art. 2087 c.c., ciò comporterebbe che l’adempimento dovuto dal datore di lavoro nella predisposizione delle misure di prevenzione al rischio di contagio andrebbe misurato anche con riferimento alle c.d. misure innominate, cioè tutte quelle che, sebbene non espressamente previste, sono ritenute (secondo l’art. 2087 c.c.) “necessarie” per tutelare il lavoratore “secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica”. Con, almeno, tre effetti che mi limito ad enunciare, ma che nel prosieguo verranno ripresi: a) la carenza di uniformità delle misure di prevenzione del contagio (che pure ha un valore nell’azione di contrasto all’epidemia da coronavirus); b) l’incertezza o indeterminatezza in ordine al loro contenuto; c) l’amplissima discrezionalità del Giudice nella verifica della responsabilità del datore di lavoro che, non di rado ed al di là delle affermazioni di principio, viene acclarata in base a valutazioni ex post. Infine si deve aggiungere che la questione in esame assume un rilievo autonomo rispetto a quella sollevata dall’art. 42 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 convertito con l. 24 aprile 2020, n. 27 che ha qualificato come infortunio sul lavoro le “infezioni da coronavirus in occasione di lavoro” consentendo così al lavoratore contagiato di fruire della tutela assicurativa INAIL. Infatti rispetto a questa tutela non rileva direttamente la questione esaminata in questa sede dell’individuazione ed applicazione delle misure di prevenzione da parte del datore di lavoro, in quanto com’è noto la socializzazione del rischio di contagio realizzata con l’art. 42 implica proprio che l’intervento dell’INAIL sia subordinato soltanto alla verifica della riconducibilità del contagio all’occasione di lavoro.
 
La strada tracciata dal legislatore in ordine alle misure di prevenzione del rischio di contagio da COVID-19 appare sufficientemente chiara, specialmente a seguito dell’art. 29-bis della l. n. 40/2020.
 
Con quest’ultima norma, infatti, il legislatore ha voluto non solo individuare e circoscrivere tali misure facendo rinvio ai Protocolli (in tutte le loro articolazioni: nazionale, settoriale, regionale, aziendale), ma anche assumere espressamente posizione circa la loro interazione con l’art. 2087 c.c.. Al riguardo l’art. 29-bis stabilisce che per realizzare la “tutela contro il rischio di contagio da COVID-19 i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’articolo 2087 del codice civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute” nei Protocolli.
Il punto da chiarire può essere così sintetizzato: con l’art. 29-bis il legislatore ha voluto indicare una delle (molteplici e variegate) modalità di adempimento dell’art. 2087 c.c. che, quindi, continuerebbe per il resto a mantenere la sua normale operatività oppure ha inteso prescrivere, circoscrivendolo, l’adempimento dovuto in via esclusiva dal datore di lavoro quanto alla prevenzione del rischio di contagio da COVID-19, premurandosi di richiamare l’art. 2087 c.c. proprio per dare soluzione al concorso apparente di questa norma con le “prescrizioni” dei Protocolli.
 
Questa norma dimostra, infatti, che le “prescrizioni” dei Protocolli costituiscono (non una delle, ma) la sola condizione legale di prevenzione per lo svolgimento del lavoro in azienda che, certamente, il legislatore non avrebbe potuto consentire se fossero state necessarie ulteriori precauzioni per rendere sicuro il lavoro salvaguardando i dipendenti dal rischio di contagio.
 
 
Fonte: Università degli studi di Urbino
(Abbiamo riportato parte del Documento riflessivo)

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