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Rischio di contagio da Covid-19 come infortunio sul lavoro e la circolare INAIL n. 13/2020

Il legislatore ha qualificato l’infezione da Covid-19, contratta in occasione di lavoro, quale infortunio.

L’INAIL è intervenuto sul punto con la circolare n. 13/2020 fornendo importanti istruzioni operative di attuazione dell’art. 42 del d.l. n. 18/2020, a cominciare dall’introduzione della presunzione semplice di origine professionale del contagio, operante – fino a prova contraria - esclusivamente a favore dei lavoratori assicurati INAIL nei confronti dei quali insiste un rischio specifico, in ragione delle particolari mansioni cui sono adibiti.

In seguito alle preoccupazioni mosse dalle associazioni imprenditoriali, l’INAIL ha poi offerto, in una circolare successiva, la sua interpretazione in merito al tema della responsabilità datoriale.

L’istituto ha specificato che i criteri di accertamento presuntivo del nesso di causalità dettati in funzione solidaristico-previdenziale sono, infatti, profondamente diversi dai criteri che invece fondano una responsabilità di natura civile o penale, le quali devono essere rigorosamente accertate con criteri diversi da quelli operanti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative.

In sostanza per poter pagare i numerosi infortuni ricevuti in questi mese negli ambiti lavorativi, per aver contratto l'infezione da Covid-19 e poter pagare le prestazioni,  l'INAIL ha inserito sulla base della circolare 13/20 il rischio infezione da contagio Covid 19 in occasione di lavoro, come infortunio sul lavoro.

Il T.U. delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (c.d. T.U. INAIL), specifica gli elementi oggettivi necessari affinché un evento possa essere configurato come infortunio sul lavoro: 1) la causa violenta; 2) l’occasione di lavoro; 3) la lesione come conseguenza dell’evento.

1) la causa violenta:

La causa violenta consiste in un evento che con forza concentrata e straordinaria agisca, in occasione di lavoro, dall’esterno verso l’interno dell’organismo del lavoratore, dando luogo ad alterazione lesive.

Tale elemento è un presupposto genetico indispensabile per la configurazione della fattispecie di infortunio e incide in modo determinante sulla qualificazione dell’evento lesivo occorso al lavoratore: la causa violenta, infatti, rappresenta il fattore idoneo a distinguere l’infortunio sul lavoro dalla malattia professionale.

Interessante è notare che nel caso di contagio da Covid-19 il legislatore, seguendo l’indirizzo vigente in materia di trattazione dei casi di malattie infettive e parassitarie, ha ritenuto si configurasse la causa violenta e lo ha qualificato, pertanto, infortunio sul lavoro.

Il legislatore ha, infatti, riaffermato principi vigenti da decenni nel campo della disciplina speciale infortunistica – richiamati altresì dalla circ. Inail n. 13/2020 – accolti ora dalla scienza medico-legale, ora dalla giurisprudenza di legittimità in materia di patologie causate da agenti biologici.

Le patologie infettive contratte in occasione di lavoro sono, infatti, inquadrate e trattate – da un punto di vista tecnico-giuridico e assicurativo – come infortunio sul lavoro, in virtù di un’equiparazione tra la causa virulenta e la causa violenta propria dell’infortunio.

2) l’occasione di lavoro;

Venendo ora al secondo elemento oggettivo definitorio della fattispecie di infortunio, vale a dire, l’occasione di lavoro - previsto dall’art. 2 del T.U. - al centro di una progressiva evoluzione giurisprudenziale che ha interpretato tale nozione, di concerto con la dottrina maggioritaria, in un’accezione via via sempre più ampia.

Dapprima, difatti, l’orientamento giurisprudenziale maggioritario sosteneva che l’occasione di lavoro di cui all’art. 2 del T.U. ricomprendesse tutte le condizioni socio-economiche in cui l’attività lavorativa si svolgeva e nelle quali fosse insito un rischio di danno per il lavoratore, indipendentemente dal fatto che tale danno provenisse dall’apparato produttivo o dipendesse da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore, con il solo limite del c.d. rischio elettivo.

Successivamente, ha esteso l’area dell’indennizzabilità dell’infortunio subito dall’assicurato all’ipotesi del rischio improprio, ossia quello non intrinsecamente connesso al disimpegno delle mansioni tipiche del lavoro prestato dal dipendente “ma insito in un’attività prodromica e strumentale allo svolgimento delle suddette mansioni e, comunque, ricollegabile al soddisfacimento di esigenze lavorative”.

In conclusione, può dirsi che affinché l’infortunio sia indennizzabile da parte dell’INAIL, non è necessario che l’evento lesivo sia avvenuto nell’espletamento delle mansioni cui il lavoratore è tipicamente adibito, essendo sufficiente che lo stesso sia occorso durante lo svolgimento di attività strumentali o accessorie.

L’occasione di lavoro, pertanto, traccia un’ulteriore linea di confine tra l’infortunio e la malattia professionale: per il configurarsi di quest’ultima non è sufficiente che l’evento lesivo sia semplicemente occasionato dall’attività lavorativa ma è necessario che quest’ultimo sia in un rapporto causale, o concausale, diretto con il rischio professionale.

Ora, in una situazione virale generalizzata come quella scaturita dalla pandemia da Covid-19, è intuibile la complessità riscontrabile nel dimostrare l’origine professionale del contagio, data la manifesta difficoltà ad individuare l’esatto momento in cui lo stesso si è verificato, se in circostanze riconducibili all’attività lavorativa, ovvero alla vita privata.

Nell’epidemia da Covid-19 si assiste, difatti, ad un contagio diffuso, tale da non poter escludere che anche lavoratori impegnati in attività diverse rispetto a quelle per le quali è data una maggiore – ed inevitabile - esposizione al rischio (si pensi ad es. agli operatori medico sanitari), possano comunque aver contratto il virus in occasione di lavoro.

La questione risulta essere di fondamentale rilevanza, eppure, in merito alla questione relativa all’accertamento del presupposto in esame, il legislatore non è intervenuto esplicitamente15, concedendo all’Inail un vasto spazio d’azione – riempito dapprima, con la nota n. 3675 del 13 marzo16 e, successivamente con la circolare n. 13/2020 – che ha offerto una presunzione di origine professionale dell’evento lesivo per alcune limitate categorie di lavoratori.  

 

Per chi è concesso l'infortunio? 

Le caratteristiche intrinseche di svolgimento di quest’ultime sono state determinanti affinché l’Istituto estendesse ai soggetti tenuti ad esercitarle, l’operatività del principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari.

Per questa circoscritta platea di lavoratori assicurati, in caso di contagio, il requisito dell’occasione di lavoro sarà, pertanto, presunto, salvo prova contraria che dimostri con certezza che lo stesso sia avvenuto per ragioni estranee all’attività lavorativa.

Ora, è doveroso chiedersi quale sorte spetti a quei lavoratori che, pur avendo contratto il virus, si collochino al di fuori del perimetro delineato dalla circolare n. 13/2020 con l’elencazione non tassativa offerta dall’Istituto.

È importante sottolineare, infatti, che il campo di applicazione della tutela INAIL nei casi di infortunio da Covid-19, non è circoscritta alle sole fattispecie in cui l’origine professionale del contagio sia presunto: nei casi, infatti, in cui non si possa presumere che il contagio si sia verificato in costanza dell’espletamento delle mansioni e/o di attività connesse o strumentali alle stesse, spetterà al lavoratore il gravoso onere di fornire la prova che la contrazione del Covid-19 sia avvenuta in occasione di lavoro.

In altre parole: il prestatore di lavoro dovrà provare che tale presupposto – necessario per il configurarsi della fattispecie infortunistica – si sia realizzato.

In particolare, il lavoratore sarà tenuto a dimostrare la riconducibilità dell’infortunio denunciato alle modalità concrete di svolgimento dell’attività lavorativa, provando la stretta consequenzialità, quanto meno in termini probabilistici, tra l’evento lesivo e le circostanze che lo hanno presumibilmente determinato (condizioni di lavoro, una elevata esposizione al rischio: ad esempio, provando di aver lavorato a stretto contatto con un collega risultato positivo al virus).

Nel caso in cui il lavoratore non riuscisse a fornire elementi utili alla dimostrazione dell’origine professionale dell’evento, la fattispecie di contagio sarà devoluta alla tutela delle malattie comuni dell’Inps.

Le linee tracciate dall’INAIL in merito all’accertamento dell’origine professionale dell’infortunio appena esposte, hanno sollevato numerose perplessità in dottrina che, allo stato, considera del tutto eccezionale l’applicazione della tutela indennitaria, soprattutto alla luce della difficoltà di dimostrare l’occasione di lavoro in caso di lesione per il lavoratore non beneficiario della presunzione semplice.

In effetti, la soluzione adottata dall’INAIL produce l’inevitabile conseguenza di far dipendere il riconoscimento dell’infortunio da Covid-19 dall’esposizione ad un rischio specifico o aggravato e ciò assottiglia pericolosamente la linea di confine che separa l’infortunio dalla malattia professionale.

La differenza tra le due nozioni di evento è invero sostanziale: per gli infortuni, a differenza delle malattie professionali, l’applicazione della tutela prescinde dall’intensità del rischio per estendersi a qualsiasi evento, anche provocato da un rischio generico, purché avvenuto in circostanze semplicemente riconducibili all’attività lavorativa.

Ora, è stato osservato, come confermato nel Protocollo condiviso del 24 aprile 2020 , che il rischio di contagio da Covid-19 non costituisce rischio specifico, bensì rischio generico, in quanto rischio cui il lavoratore soggiace al pari di tutti gli altri cittadini, indipendentemente dall’attività lavorativa svolta.

Alla luce di ciò, seppur da un lato non si possa negare che per alcune categorie di lavoratori risulti una maggiore esposizione al rischio aggravato fino a diventare specifico, dall’altro, non può escludersi che anche lavoratori occupati in altro tipo di attività possano comunque aver contratto il virus in occasione di lavoro. 

L’introduzione della presunzione di origine professionale dell’evento solo per i primi, evidentemente, inserisce in una posizione di enorme svantaggio i secondi, riconoscendo loro una tutela assicurativa quanto meno indebolita, poiché assai più difficile da ottenere.

Sulla base di queste considerazioni, la dottrina ha criticato la soluzione adottata dall’INAIL in quanto, nel complesso, la circolare giungerebbe a risultati invero contraddittori: se infatti, da un canto, l’Istituto presume l’origine professionale dell’evento nei limitati casi in cui vi sia un’esposizione ad un rischio specifico o aggravato, dall’altro, sembra poi estendere il raggio della tutela assicurativa anche al rischio generico, ammettendo che tra gli infortuni siano ricompresi i contagi in itinere, includendo, così, una fattispecie ove insiste una tipologia di rischio incombente anche sui lavoratori che non appartengono alle categorie individuate dalla circolare.

 

Fonte: Università degli Studi di Urbino


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